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giovedì 14 aprile 2011

La morte di Sidney Lumet




In Italia viene pubblicato dalla metà degli anni '70 un giornale quotidiano che, almeno a parole, si è auto-eletto fin da allora portavoce ed alfiere dei contrafforti del pensiero di sinistra. I quali, ancor prima che farsi rivelatori dell'appartenenza ad una determinata corrente politica, in primo luogo sono o dovrebbero essere di natura e d'ordine eminentemente culturali. 
E' stato così che pochi giorni fa mi è molto dispiaciuto leggere nell'edizione on-line del giornale suddetto uno sbrigativo e meramente compilativo epitaffio alla figura del grande Sidney Lumet che certamente, nella tristissima occasione della sua morte, sarebbe stato degno di parole denotanti ben altra considerazione. 

Forse l'autore dell'articoletto era stato costretto ad ubbidire a precisi e ferrei ordini di scuderia: "oggi la gente non legge più nemmeno le avvertenze sulle confezioni dei medicinali, quindi vedi di non dilungarti troppo e di non peccare di prolissità".... Non è da escludere peraltro che ci si trovi nuovamente di fronte al consueto problema della limitatezza di orizzonti tipica delle tante figure di inesperti che oggi operano nei vari settori della cultura. E' dunque probabile che il diligente redattore di cui sopra abbia avuto nel tempo notizia soltanto degli esiti meno rimarchevoli o più conosciuti della carriera di Lumet. Ad ogni modo l'autore di un sì talmente vasto numero di opere fondamentali, che un piccolo blog come questo non può permettersi di affrontarne la disamina nel suo complesso, avrebbe meritato un elogio di rilevanza assai maggiore.
Ci sarà assolutamente modo in futuro, quando le figure degli esponenti dell'immaginario odierno cominceranno una ad una a lasciare questo mondo, di abbandonarsi al piacere della stesura di temini della lunghezza e della consistenza di un banale trafiletto. 

Nonostante ufficialmente non disponga dei titoli accademici sufficienti alla bisogna, proverò per quel che posso a fare un po' meglio di quel giornalista.
Dunque la scorsa settimana, all'età di 86 anni, se n'è andato Sidney Lumet, uno degli ultimi grandi registi cinematografici (insieme a Scorsese, Allen, Lynch, Coppola....) che fino all'estremo era riuscito a resistere al pressante ed ineludibile richiamo della Signora con la falce. In vecchiaia per fortuna si era tra l'altro scoperto a godere di una superba e robustissima vitalità artistica. Il meraviglioso "Before the devil knows you're dead" rappresenta infatti indiscutibilmente uno degli apici assoluti della politica autoriale di Sidney Lumet, che si è sempre occupata di conferire il giusto rilievo alle tante figure di diseredati comuni che ci passano accanto per strada tutti i giorni e a cui la gran parte delle volte manchiamo colpevolmente di prestare attenzione e dispone tranquillamente dei mezzi artistici per consacrare al dimenticatoio la pletora di inutili filmetti prodotti in anni recenti, la distribuzione dei quali si dovrebbe proprio trovare modo di interrompere.




Come accennato la filmografia di Sidney Lumet si compone di un numero di titoli talmente ampio che decisamente non è consentito supporre di poterne passare ognuno al setaccio con la meticolosità che il caso in teoria richiederebbe.
Il lontano 1957 è l'anno dell'opera prima del regista americano, quel "12 angry men" che portò subito alla necessaria evidenza i caratteristici luoghi narrativi del suo cinema. Al tema che sostanzialmente fa da perno centrale attorno a cui tutta questa filmografia di fatto ruota continuamente (in questo caso la dozzina di giurati che si riunisce in camera di consiglio deve stabilire se una certa figura appartenente alla galleria dei "diseredati" abbia effettivamente commesso un omicidio e se a suo favore possano essere addotte delle attenuanti) si accompagnano di volta un volta uno o più sotto-testi che hanno la funzione di arricchire di ulteriori spunti una cinematografia che alla lunga finì inevitabilmente per sovrabbondarne, senza però che per questo Lumet abbia (quasi) mai smarrito le coordinate del suo percorso. 
Nel caso di "12 angry men" la vicenda di un gruppo di avvocati e pubblici ministeri che per un'ora e mezza (in tempo praticamente reale) se ne sta chiuso in una stanza a discutere la sorte di un probabile condannato a morte dà luogo ad una struttura narrativa fondata sull'unità aristotelica propria dei film di impianto teatrale, essendo infatti questo linguaggio un punto di forza e un autentico caposaldo delle opere dei grandi registi americani di quegli anni, vedi ad esempio Elia Kazan.

Non c'è ombra di dubbio che il film sotto certi aspetti emblematico dell'opera di Sidney Lumet è il suo capolavoro del 1975 "Dog day afternoon". Ciò non semplicemente perchè è uno dei lavori più rappresentativi della carriera di Al Pacino nè perchè trova posto in ogni graduatoria dei "thriller" più riusciti che si rispetti. Il titolo la cui traduzione italiana è diventata nel tempo qualcosa di molto più consolidato di un comune adagio popolare ("quella squadra di calcio ha subìto una sonora sconfitta; il suo è stato l'autentico pomeriggio di un giorno da cani") pone la classica coppia di disperati di cui i racconti per immagini di Lumet non sono mai privi, i quali tentano di improvvisare una rapina in una banca del pieno centro di New York e perciò si votano ad un'impresa su cui dall'inizio incombe l'ombra del fallimento, nel pieno di una vicenda che il frenetico svolgersi degli eventi contribuisce a trasformare di minuto in minuto in qualcosa di assai più complesso ed articolato.
Sul luogo dove avviene il fatto di cronaca, oltre alla polizia e alle immancabili frotte di curiosi, intervengono infatti gli operatori di un'emittente televisiva allo scopo di riprendere e filmare quel che sta accadendo. Da questo momento la vicenda innescata dagli sprovveduti personaggi interpretati da Al Pacino e John Cazale si tramuta in un autentico reality-show ante-litteram, le persone comuni che sul posto si sono date convegno sono appagatissime dato che possono diventare parte integrante del quale. Questo al punto che l'elemento della rapina finisce gradatamente per passare in pratica in secondo piano. 
A questo proposito è straboccante di forti contenuti simbolici la battuta pronunciata dal personaggio del ragazzo che è stato incaricato di portare le pizze che servono a sfamare i due "malviventi" e il gruppo di ostaggi. Nel momento preciso in cui passa davanti alle telecamere e viene perciò da queste ripreso e chiamato indirettamente a divenire partecipe dello spettacolo, il giovane prende coscienza di essersi potuto affrancare, anche se solo per pochi istanti, dall'anonima e grigia esistenza tra le soffocanti spire della quale è anch'egli costretto a vivere - ed esultante e festante annuncia pubblicamente di "essere diventato un divo".

Da queste premesse non è difficile individuare la presenza di un altro dei tanti sotto-testi che nel cinema di Sidney Lumet brulicano letteralmente e lo saturano fin nei suoi recessi più riposti. Ci si riferisce allo studio e alla disamina delle potenzialità negative e distruttive della televisione, sviscerata e discussa in "Dog day afternoon" come un mezzo dotato di una natura incredibilmente invasiva e sadicamente capace di garantire, alla gente "invisibile" che ne ha un estremo bisogno, un genere di popolarità e di fama che ha nell'illusorietà e nella caducità le sue essenziali (forse le uniche) componenti.

Il 1976 è l'anno di "Network" e con questo film Sidney Lumet fece sì che il senso della parabola sugli effetti del mezzo televisivo si allargasse esponenzialmente fino a giungere a toccare un raggio d'analisi vieppiù ampio e comprensivo. "Network", chissà perchè ribattezzato in Italia "Quinto potere" (c'è da supporre che per i nostri distributori il vecchio classico di Orson Welles gli avesse impedito l'accesso alla Champions League!!), costituisce il tassello iniziale di un'ideale trilogia i cui due altri elementi sono i successivi "La morte in diretta" di Bertrand Tavernier e "Videodrome" di David Cronenberg, nel quale il regista americano indaga e smaschera con encomiabile lucidità la spietatezza e la mancanza di scrupoli dei dirigenti di una stazione televisiva che, sottoposti alla schiavitù degli indici d'ascolto (e dei profitti che possono derivarne) e decisi a tentare ogni mezzo pur di risollevare le tutt'altro che floride sorti della loro creatura, optano per il varo di un palinsesto che, senza bisogno di scendere nei dettagli, ci si propone di organizzare sulla base di materiali e programmi i più abietti e repellenti possibile. 
Di fatto Sidney Lumet (ma i citati Tavernier e Cronenberg spinsero fino all'estremo il senso della ricerca, conferendo ad essa connotati manifestamente apocalittici) preconizzò con svariati anni d'anticipo gli effetti della degenerazione  di cui in Italia si cominciò a prender coscienza all'inizio degli anni '90 e negli Stati Uniti presumibilmente anche parecchio tempo prima.

                          

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