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giovedì 11 novembre 2010

A casa con Antonella Clerici

Non sono certamente il primo (parecchi esegeti assai più oculati e raffinati ci hanno già pensato) a sostenere che da tutti i punti di vista l'Italia versa in uno stato di preoccupante declino. Mi permetto solo di aggiungere che più allarmante ancora è la presa d'atto che la gran parte della gente (vuoi perchè rassegnata, vuoi perchè intellettualmente pigra) sembra non curarsene. Mio malgrado, dovendo svolgere le mansioni professionali in un contesto che comporta anzitutto il contatto con il pubblico, mi tocca fare esperienza del fatto che per parecchie persone sembra essere sufficiente potersi produrre in cinque minuti di sfogo tanto temporaneamente liberatorio quanto fine a se stesso, che tra l'altro spesso e volentieri mi costringe, sia per educazione sia per dovere professionale, a sconfinare da quelle che dovrebbero essere le mie normali funzioni. Non sono insomma un confessore socio-spirituale, ma molti ormai si accontentano dei proclami in forma di slogan e delle rivoluzioncine di piccolo cabotaggio. E, va da sè, le cose poi procedono di male in peggio anche per questo.
Proprio di ieri, guardacaso, è la notizia per cui alcuni settori delle ferrovie dello Stato hanno deciso di protestare perchè il governo o chi per esso ha stabilito di assegnare ai dipendenti una pausa-pranzo più breve.... I tempi in cui le grandi personalità mettevano in conto il rischio della persecuzione o addirittura la possibilità di essere uccise per le loro idee sono davvero tristemente lontani.

Gradatamente nel nostro paese la musica e specificamente l'attività concertistica di un certo genere e spessore si stanno avviando a vedersi sacrificate dentro spazi di movimento sempre più ristretti. Un blog di questo tipo non fa fatica ad identificare proprio con questo uno degli aspetti più deplorevoli e rattristanti della decadenza italiana. Vari fattori, tutti allo stesso modo significativi, concorrono all'affermazione di questo stato di cose:
- l'ultima generazione di giovani non fa uso della musica come suo referente e come principale fonte d'ispirazione esistenziale, bensì si accontenta di recepirla attraverso i terrificanti simulacri digitali che oggi vanno per la maggiore;
- gli adulti si sono improvvisamente ed inspiegabilmente impigriti al punto che, portati a termine i doveri della giornata, non trovano di meglio che mettersi in panciolle davanti alla tv. Si sa, il fatto di seguire i concerti comporta tutta una serie di strapazzi che essi, poveretti, non hanno la forza di sopportare....
- quasi nessuno ormai ragiona più con la sua testa e perciò si è stimolati a seguire soltanto i personaggi che per 24 ore al giorno possono contare su un bombardamento mediatico praticamente continuato. Consegue che il gusto medio delle persone, un tempo elevatissimo (sappiamo che il "progressive" attecchì prima in Italia che presso la stessa Inghilterra), ha finito per abbassarsi esponenzialmente. In una parola la gente lascia libertà decisionale alla tv e ai giornali di regime anche per quanto riguarda le preferenze in fatto di musica e in genere di necessità culturali;
- quest'ultimo punto non può che rivelarsi come la diretta conseguenza dei tre precedenti, nel senso che siccome nei contesti presso cui si organizza musica dal vivo si deve fare i conti col commercialista e con l'addetto alla contabilità prima che con la figura incaricata della programmazione va inevitabilmente a finire che concetti importantissimi come la progettazione e l'indipendenza di intenti stanno via via diventando obsoleti, ammesso che non lo siano già divenuti.

Eppure per quasi tutti gli anni '90 e i primi 2000, quando cioè l'omologazione cominciava a dettare le sue regole ferree (o forse proprio per questo; la Storia insegna che più il Potere tende a farsi repressivo, più è paradossalmente facile conquistare magari marginali rivoli di libertà), l'Italia era stata capace - piano piano e dopo anni d'anonimato - di rientrare nel grande circuito della musica dal vivo, per di più dando prova di maturità e di aver appreso che i teatri e le sale a questo scopo adibite rappresentano luoghi più adatti ai concerti dei detestabili stadi calcistici e dei terribili palasport. Mi limito qui a ricordare il progetto della "Only a Hobo Music Production", la cui sede si trova in un paesino in provincia di Varese (Sesto Calende) e dunque non presso qualcuno dei grandi contesti metropolitani del centro-nord, grazie al quale i cantautori americani già piuttosto ostracizzati in patria trovarono una corsia preferenziale nel paese di Sanremo, del Festivalbar e di Jovanotti. Conserverò sempre memoria dell'edizione 1995 del "Only a Hobo Festival" come di una delle più stupefacenti esperienze concertistiche a cui abbia mai preso parte. Sul palco, uno di seguito all'altro, sfilarono in passerella i Loose Diamonds, Guy Clark, Elliott Murphy, Terry Allen, Peter Case, Dave Alvin, Tom Russell.... Più che dentro uno sperduto antro sito nel varesotto sembrava di vivere una di quelle serate specialissime che solo ad Austin (città musicale molto più di New York) hanno abitualmente luogo.

Avevo atteso con ansia di prendere visione del programma della prossima edizione di "Umbria Jazz Winter". Quando poi ieri l'ho potuto finalmente leggere, più che il cartellone di una rassegna jazzistica sembrava di scorrere i capoversi di una nuova ristampa del "De Profundis", con la sostanziale differenza che il redattore non è ovviamente Oscar Wilde bensì il gruppo di organizzatori di quella che un tempo fu una manifestazione gloriosa e giustamente rinomata. Il declassamento della peraltro ancora giovane "Umbria Jazz Winter" si accompagna naturalmente a quello della versione estiva del festival che quest'anno ha ospitato nientemeno Fiorella Mannoia e di nuovo Mario Biondi, uno che imita Barry White peggio di quanto avrebbero saputo fare Sabani o Noschese. Aggiungiamo a questo già nefasto quadro lo scadimento della succursale milanese del Blue Note per acquistare i diritti per lo sfruttamento del quale marchio si rese probabilmente necessario un esborso considerevole , salvo poi trovarsi costretti ad inserire in cartellone i Neri per caso, gli Zero Assoluto e Giusi Ferreri. Stessa sorte è progressivamente toccata a gran parte del panorama dei festival nazionali, certamente a causa del solito comprensibile, sebbene non del tutto giustificabile, problema della mancanza di fondi. Ho detto "non del tutto giustificabile" perchè basterebbe forse poco per operare una decisiva inversione di tendenza. Si potrebbe infatti riaprire le porte delle rassegne  italiane agli ultimi sopravvissuti del vecchio movimento "free", che sono invece emarginati e quasi del tutto ignorati. Ad una simile politica gestionale non farebbero certamente seguito enormi afflussi di pubblico, tuttavia si avrebbe l'opportunità di contenere sensibilmente i costi e, ecco il dato più importante, si tornerebbe a coprire del necessario lustro una serie di manifestazioni che oggi sono sì messe in piedi in evidente economia, ma che non possono essere consegnate alla Storia finchè ci si limita ad inserire nel cartellone la consueta truppa di italici mestieranti.vQuest'anno ad esempio a Ravenna si è addirittura pensato di dedicare tre intere serate a Stefano Bollani, nemmeno fosse il voltapagine di Thelonious Monk!
Se avesse soggiornato presso la cittadina romagnola durante i giorni del festival, Marco Ferreri avrebbe raccolto materiale sufficiente per dare il via ad una nuova epopea del grottesco su pellicola....

La questione dei concerti rock è allo stesso modo disperata. Siamo alle solite: per organizzare le tournèe dei grandi artisti anglo-americani occorre sobbarcarsi il non calcolato rischio dell'investimento di cifre proibitive ed è quindi logico che gli agenti non intendono intraprendere titaniche imprese che, dal punto di vista finanziario, sono destinate in partenza a fallire. Questa è ad esempio la ragione per cui, nonostante da più parti si levino in tal senso da tempo supplici invocazioni, difficilmente sui nostri palchi potremo mai veder salire Tom Petty, John Mellencamp, Bob Seger, la Allman Brothers Band e via dicendo. La stagnante calma piatta viene di solito parzialmente scossa in coincidenza con l'arrivo della tarda primavera e dell'estate quando (complici le ferie, il caldo e il fatto che non se ne può evidentemente più di otto o nove mesi di lobotomia televisiva) persino i più incalliti pantofolai riescono a trovare la forza per alzarsi dalla poltrona, caricarsi la mogliettina in spalla e rispondere al sempre più flebile richiamo della Strada, a cui tra un po' giustamente tanta irriconoscenza comincerà a venire a noia. Insomma come fossimo tornati indietro di qualche decina di anni gli appuntamenti live italiani di qualità si concentrano quasi esclusivamente nel periodo estivo. Ma bisogna precisare che il 2010 è stato anche in questo senso abbastanza negativo e del resto i numeri parlano da soli: alcuni concerti annullati (Elvis Costello, Rickie Lee Jones, la Steve Miller Band ad inizio autunno); la prima nazionale assoluta di Kris Kristofferson a Vigevano richiamò due o tre centinaia di anime compreso il sottoscritto;  fui purtroppo anche testimone dei larghi vuoti all'Arena di Verona per l'unica data italiana di un ancora pimpante Rod Stewart - e mi risulta che nemmeno Crosby Stills & Nash abbiano
spopolato.
Tutta diversa la situazione a Londra, dove viene garantita notorietà ai più caduchi fenomeni del momento (l'appiattimento alligna ormai dappertutto) ma in cui c'è ancora un certo spazio per quelli che dalla musica pretendono consistenza e spessore. Solo tra maggio e luglio ebbi il privilegio di assistere ai concerti di Al Green & Michael McDonald, Natalie Merchant, Eric Clapton & Steve Winwood, Jackson Browne, Crosby Stills & Nash, Buddy Guy, dell'ex componente dei Georgia Satellites Dan Baird... oltre ad una puntata a Liverpool per lo show di un Elvis Costello alla testa di una band formata dalla crema dei turnisti di Nashville. In Inghilterra il grande Declan McManus fa il pienone, altro che concerto annullato!

Ci troviamo nel pieno di un'altra stagione autunno-invernale in cui i grandi concerti scarseggiano , per non dire che non ce ne sono proprio, come le lattine d'aranciata a casa di Keith Richards. Ciò naturalmente a meno che non si desideri accontentarsi degli esponenti del pop nazionale, delle teen-bands, del metal e dei rappers che fanno spavento al solo guardarne le fotografie. Come se non bastasse si è già stati doviziosamente informati che con ogni probabilità l'evento cardine della prossima estate è il tour di Bon Jovi, un personaggio che da sempre preferisce il denaro e la fama all'eventualità di mettere a frutto un talento che di certo non gli mancherebbe.
La situazione è talmente arida che i maggiori siti italiani che si occupano di prevendita di biglietti, nati quasi espressamente per la musica, per sopravvivere sono stati costretti ad allargare il raggio d'azione del loro mercato alle partite di calcio, ai "musical" di quarta mano che furoreggiano senza una ragione plausibile e alle manifestazioni della decadenza del nostro Teatro di cui senza alcun pudore e con incredibile sfacciataggine i Panariello e le Hunziker si sono fatti portabandiera.

Non credo che questa generale tendenza possa venire modificata  in tempi brevi. Bisognerebbe che il popolo, il fautore principe di tutte le Rivoluzioni, ricominciasse a far richiesta per poter tornare ad usufruire di un'offerta migliore, o anche soltanto maggiormente accettabile. Ma, del resto, nell'epoca in cui Totti è un giocatore di calcio, la Pivetti un'attrice e la Littizzetto una scrittrice, la musica (che col tempo ha inevitabilmente perduto molta della sua spinta alla trasgressione) non può che conformarsi all'esecrabile stato di cose. Forse lo fa a malincuore, ma comunque sia non ha proprio modo di potersene esimere.                    

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