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sabato 16 ottobre 2010

La musica suscita disinteresse

Anche e soprattutto per raggiunti limiti d'età e relative conseguenze non posso certamente permettermi di salire sul picco più alto di una montagna, per proclamare che sotto un certo aspetto della vita socio-culturale è in procinto di arrivare (o è addirittura già arrivata) l'apocalisse. Non posso farlo e non ho nemmeno la tentazione di pensare ad investirvi su del tempo, dato che in partenza sono cosciente che i risultati ottenuti sarebbero eventualmente risibili. Che i panni del profeta continuino ad indossarli quelli che in questo senso hanno dalla loro se non altro il conforto della temperie storica!  E qui la mente corre difilato ed inevitabilmente al ricordo del vate immortalato da Werner Herzog in "Cuore di vetro". Detto questo non mi riesce comunque di restare indifferente, ogni volta in cui per via mi succede di imbattermi in loro, alla vista dei ragazzi che frequentano le scuole medie e superiori che condiscono gli atti del passeggiare, del conversare e del rincasare con l'accompagnamento del suono della musica irradiata da quegli strani marchingegni dotati di minuscole cuffie, che tra l'altro rimandano soltanto insiemi di note in tutto corrispondenti al loro potenziale tecnico e spirituale, vale a dire ristretti, limitati, compressi e claustrofobici. Non credo infatti che per mezzo di un I-Pod (mi ronza nelle trombe di Eustachio che dovrebbero chiamarsi così....) possa mai essere ascoltata ad esempio una di quelle interminabili e dilatate canzoni, tipiche degli anni del progressive, che spessissimo giungevano anche ad occupare l'intera facciata di un long-playing ("Close to the edge" degli Yes, "Moonchild" dei King Crimson, "A plague of lighthouse keepers" dei Van Der Graaf Generator, "Supper's ready" dei Genesis....). 
A malincuore, ma riconoscendogli purtuttavia il dono di una lungimiranza senza pari, bisogna ammettere che il "profeta" Joe Jackson vide quantomai giusto (nei classici tempi non sospetti in cui i vaticinatori del futuro sono soliti operare) quando preconizzò che sarebbe venuta di lì a non molti anni un'epoca in cui la musica, da caposaldo irrinunciabile e guida nella vita di molti, si sarebbe trasformata nel qualunquistico sottofondo (consumabile con parossistica fretta) delle vite ordinarie e schiave delle convenzioni a cui oggi si votano senza condizioni le persone che non sanno o non vogliono neanche trovare il tempo per sedersi in poltrona ed ascoltarsi con calma un disco mediante lo stereo. E pensare che una buonissima parte dei classici del rock 'n roll assai di rado giunge a sfiorare la soglia dei 40 minuti e dura perciò più o meno lo stesso margine di tempo (ma forse persino di meno) che i navigatori generalisti di Internet impiegano per informarsi sugli aggiornamenti della Gazzetta o per consultare i siti che pubblicizzano telefoni cellulari o propongono di stabilire un contatto con anime gemelle virtuali. Sappiamo peraltro benissimo che per portare a termine le pratiche onanistiche indotte da YouPorn o Red Tube si investe solitamente un lasso addirittura minore.... 
Credo che, ancora durante i primi anni '80, quando noi rappresentanti dell'ultima generazione che antecedette l'arrivo dell'epoca delle varie mistificazioni vivemmo la nostra adolescenza, Joe Jackson (che non a caso ha sempre inciso dischi che, prima di essere magari criticati negativamente, necessitano di studio e disamina approfonditi) sarebbe stato molto contento di noi, che modestamente sapevamo assegnare alla musica, nella graduatoria delle componenti che costituiscono la vita, una giusta ed adeguata posizione (la prima?). Nonostante sul piano anagrafico sia vicino a dover obbligatoriamente inserire il numero "5" nella casellina delle decine, io continuo (come non fosse trascorso neanche un giorno) a rapportarmi nei confronti del motore mobile della mia esistenza nella stessa identica maniera. E se i prodotti sociali dell'età in cui Michelle Hunziker viene ammessa a recitare a teatro possono arrivare a stupirsi se confesso loro che a nulla è concesso di interferire ed arrecare disturbo durante la quotidiana e rigorosa pratica degli ascolti, che magari in certi giorni per motivi di lavoro non possono protrarsi per più di 30-35 minuti (ma, come ripeto, questa limitata attività delle lancette è più che sufficiente per far girare sul piatto un "classico" dal'inizio alla fine), per me da allora non è cambiato niente e ancora strenuamente e volitivamente proseguo nel non possedere la minima conoscenza nel campo delle sovrapposizioni. In parole povere non so che cosa significhi ascoltare la musica e allo stesso tempo camminare per strada o andare in macchina, studiare o lavorare, farsi la barba o depilarsi le gambe, parlare al telefono del più e del meno (di che cos'altro pretende di discorrere la gente al telefono, accidenti?) o adoperarsi in attività ginniche, intonacare il soffitto o tentare approcci con la vicina prosperosa - quest'ultima occupazione, per inciso, è consigliabilissima in ogni caso, a patto che contemporaneamente non si ascolti tramite I-Pod il seminale e rivoluzionario primo album del Pop Group. Se si eccettua l'incombenza di andare in macchina (non ho mai preso la patente), di studiare (questo tempo della vita per me è trascorso da più di 25 anni), di depilarsi (da nessun punto di vista purtroppo, men che meno quello artistico, somiglio a Bob Hite dei Canned Heat), di abbordare dirimpettaie "talentuose" (difficilmente le inquiline del condominio in cui vivo potrebbero essere reclutate per la rappresentativa di calcio femminile under 21), porto avanti anch'io, in forza di ineludibili necessità, gli obblighi-cardine su cui si fonda la società borghese. Tuttavia non permetto che qualsivoglia elemento di disturbo si diverta sadicamente ad ostacolare la diffusione della musica nel mio spirito e dunque per il resto è assolutamente tutto uguale ad allora. Ad alcun altra ragione di fastidio cioè è consentito interporsi col mio desiderio di scorribande interstellari, certo di portata inferiore rispetto a quelle descritte tanti anni fa da un gruppo di cui faceva parte un tale Syd Barrett, ma ancora troppo preziose nonostante l'età per pensare di poterle abiurare a cuore leggero o pesante che sia. Manca inevitabilmente qualcosa rispetto al per me stupendo quinquennio 1980-1985 in cui ebbi la fortuna e la volontà necessarie a non avvertire gli effetti degli inizi dello sfilacciamento del tessuto culturale e musicale nè di esserne negativamente influenzato - e qui basti dire che, a causa dell'affermazione su larghissima scala dei negozi di dischi on-line, i poveri polpastrelli delle mie dita sono ormai da tempo fuori allenamento e rischiano di atrofizzarsi. Tuttavia per il resto oso pensare che Joe Jackson mi attribuirebbe un piccolo attestato di merito per il modo in cui sono riuscito (per quel che mi riguarda) a non declassare la musica fino a ridurla ad un banale ronzio proveniente dalle oscure regioni dell'ignoto, sperando allo stesso tempo di trovarmi in tal senso in compagnia almeno discreta, se non sovrabbondante. Non è difficile per contro immaginare le reprimende, una volta tanto giustificate, di cui l'autore della pietra miliare "Night and day" potendo farebbe oggetto le torme di impersonali ragazzini che utilizzano i simulacri che si ambisce a contrabbandare per successioni di note esattamente come farebbero con una mini-siringa regalata loro per il compleanno da uno zio specializzato in otorino-laringoiatria.         

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