google-site-verification: google512f6046e3dcadb3.html living for the past: I "media" e la musica

martedì 19 ottobre 2010

I "media" e la musica

E' ormai un fatto assodato che, quando si vuole cercare colpevoli e capri espiatori a cui imputare la responsabilità per la degenerazione di un certo stato di cose, si tende nella maggior parte dei casi ad optare per la scelta del bersaglio più facile, comodo e a portata di mano. Ecco perciò che se i giovani ascoltano musica soltanto per mezzo del I-Pod e se la utilizzano soltanto in qualità di dimenticabile sottofondo per le loro attività quotidiane il biasimo va sempre rivolto ai mass-media, in primo luogo dunque alla televisione e alla carta stampata ormai irrimediabilmente sottomessa al volere dei grandi gruppi industriali. Il panorama che ci si para davanti agli occhi ogni volta in cui si preme il pulsante dell'accensione sul telecomando o si sfoglia le pagine di un giornale (non lo faccio più da molto tempo; mi propongo infatti lo scopo di metabolizzare tranquillamente il cibo che ingurgito) non è in effetti dei più rosei e confortanti. Tuttavia mi chiedo se per i ragazzini dall'intelletto cloroformizzato di cui si parlava l'altro giorno cambierebbe veramente qualcosa, se dall'oggi al domani le scelte redazionali o relative ai palinsesti televisivi subissero uno sconvolgimento epocale. Ho paura che, qualora anche i giornali cominciassero ad occuparsi sistematicamente dei Fleetwood Mac e di John Hiatt anzichè di Ligabue ed Eros Ramazzotti, difficilmente si riuscirebbe a riportare indietro le lancette dell'orologio culturale, agli anni in cui davvero i mass-media (mettiamoci anche il disastrato sistema radiofonico in cui i DJ, che un tempo erano dispensatori di cultura, si sono trasformati in fantocci alle dipendenze dei dettami pubblicitari delle major discografiche) rappresentavano una fonte di conoscenza e d'informazione, se non esaustiva in tutto, certamente assai più credibile di quanto oggi è diventata.
I pessimisti ad oltranza sono soliti affermare con forza che la televisione rappresenta da sempre uno dei bracci armati del potere costituito, se non addirittura il principale. In gran parte non si può che dar loro ragione, tuttavia al momento attuale stiamo vivendo dei tempi talmente catastrofici che paradossalmente succede che talvolta si viene colti in flagrante mentre si riflette che dopotutto, almeno sotto certi aspetti, il passato sia simile ad un vecchio acciaccato in vari punti del corpo e dunque magari bisognoso di cure costanti, ma non ancora sottoponibile ad irreversibili pratiche funerarie. Perchè se è vero che un lucidissimo Pasolini preconizzò gli effetti nefasti che il mezzo televisivo esercita sulla mente umana, personalmente e magari ingenuamente mi sento in diritto di operare una distinzione, oziosa finchè si vuole, fra la tv dominata dalla banda Ventura-Giletti-Scotti-Angela jr e simili - e quella che fu di Lelio Luttazzi, Folco Quilici, Andrea Barbato e del sopravvissuto a fatica Enrico Ghezzi. Nel becero primo caso la musica è stata ridotta ad un patetico simulacro di se stessa (niente più che una straziante finzione, insomma) alla cui propalazione sovrintendono scombiccherati dei ex machina come la Maionchi e la De Filippi e del giudizio sulla presunta validità della quale sono incaricati Ruggeri, Morgan, Elio senza storie tese, il figlio del cantante dei Pooh e personaggi del genere. Peraltro della tv di un tempo si può dire tutto il male che si ritenga necessario e specificamente nessuno può negare che su di essa l'allora imperante mano della Democrazia Cristiana impresse un'impronta determinante, con tutto quello che ne consegue in termini di bigottismo, perbenismo e buona educazione medio-borghese. E' risaputo, tanto per dirne una, che "Stryx", uno dei varietà più innovativi nella storia della RAI, andò incontro a grane poichè ebbe l'ardire di mostrare agli italiani il seno nudo di Patty Pravo, peraltro tutt'altro che procace e carnoso. E' tuttavia un dato di fatto che la musica costituiva uno dei fiori all'occhiello di quei palinsesti - e ciò in misura sempre maggiore a partire dal 1980, quando nacque la rete pensata come alternativa culturale alle scelte più ortodosse dei due canali già esistenti. RAI 3 ha subìto si può dire nel tempo l'identico declassamento di cui è stato vittima il progetto satellitare nel passaggio da TelePiù a Sky, ma nei suoi primi anni di vita rappresentò una manna per quelli che, giovani ed ingabbiati nella vita di provincia, non avevano sottomano occasioni frequenti per presenziare all'imprescindibile contesto dei concerti dal vivo. Due erano i capisaldi più facilmente individuabili intorno ai quali ruotava la programmazione a carattere musicale del canale neonato. "A luce rock" trasportò gli entusiasti adolescenti di allora nel meraviglioso e ricercatissimo mondo dei "rockumentari", vale a dire la corrente cinematografica (oggi purtroppo totalmente caduta in disuso e rispolverata ogni tanto per finalità meramente pubblicitarie) che prese le mosse in ambito underground alla fine degli anni '60 col film di Michael Wadleigh sul festival di Woodstock e che, con il suo misto di trattazione biografica ed immagini ricavate dai concerti, seppe conquistarsi larga diffusione negli anni '70 al punto che, prima di approdare allo schermo televisivo, ottenne un certo spazio nei cinema nell'ambito della programmazione d'essai, anche perchè spesso e volentieri produttori di "rockumentari" furono registi di riconosciuta fama. Come dimenticare che grazie a "A luce rock" potemmo ammirare gli Who di "The kids are allright", i Rolling Stones diretti da Hal Ashby in "Let's spend the night together", i divistici ma inquietanti Led Zeppelin di "The song remains the same", i Clash di "Rude boy", l'epopea new wave immortalata in "Roadie", la Band che con stuolo di amici al seguito si lascia riprendere da Martin Scorsese nell'atto di danzare l'ultimo valzer, la crema dell'universo rock anni '70 che si riunisce al Madison Square Garden per gridare ad una sola voce "No Nukes", il festival di Monterey....
Ma la RAI 3 innovativa degli albori ci trasmise anche il gusto e il piacere di diventare nottambuli. Infatti tutti i sabati, dalle 23 fino quasi all'alba, l'allora benemerita rete si collegava con la "Grugahalle", una sala da concerti sita nella città di Essen, da dove le telecamere della tv tedesca trasmettevano (credo, in diretta) "Rockpalast", un programma che consisteva in esibizioni dal vivo della durata di circa 75 minuti l'una, alcune delle quali sono oggi rintracciabili in DVD. Dal palco della Grugahalle passò una capillare selezione dei migliori artisti del panorama rock classico e della nascente new-wave. Redigere un elenco che li comprenda tutti sarebbe un'impresa improba, ma procedendo a braccio dirò dei primi che mi tornano in mente: John Cale, Jack Bruce, Roger McGuinn, Joan Armatrading, Graham Parker, Southside Johnny, i Grateful Dead, Elvis Costello, Van Morrison, Paul Brady, i Dexy's Midnight Runners, Huey Lewis & The News, fino ad uno sconosciutissimo ma esplosivo chitarrista texano di nome Stevie Ray Vaughan.
Si andava a dormire, dopo essersi concessi tale scorpacciata, alle prime luci del giorno, con la consapevolezza che davvero, retorica o meno che sia l'affermazione, il rock 'n roll era alla nostra portata, con lo scopo dichiarato di salvarci la vita.    
  

1 commento:

  1. Andrea... mi permetto di aggiungere due o tre pensieri a questo bellissimo blog (penso rivolto più ai cultori della musica che non a me, in verità... dato che l'ho letto intervallandolo con l'ascolto delle varie citazioni musicali e con continue ricerche sui vari personaggi citati.)
    Leggendo questo post mi son riconosciuta (in questo frangente mi muovo meglio che in quello musicale) in quella schiera di pessimisti che tu citi parlando della televisione. Dal tuo ricordo appassionato di una certa tv, che permettava di sconfinare a dei piccoli provinciali(solo nella dizione geografica ma non di certo nella sensibilità e nel desiderio di arte e di bellezza)e che si amava guardare fino all'alba, si delinea oggi uno scenario decadente. Innanzitutto, purtoppo per chi è più giovane e altrettanto provinciale, non c'è modo di orientarsi attraverso la televisione verso quei lidi sconfinati che a voi sono stati concessi, ma fortunatamente ci sono altri mezzi ad esempio internet, ma qui la volgarità, l'assenza di limiti, l'assoluta mancanza di etica, di porfessionalità, di verità e la propensione sfacciata verso l'avidità economica e politica di chi dosa le notizie sono più zavorra che motore propulsore . Quindi noi della generazione degli enta, o quasi, assistiamo partendo dalla tv stessa ad un'indecenza a spirale che, innescata dalla sparizione di quei programmi che dicevi tu, cresce esponenzialmente: al dimezzarsi di programmi "seri", si quadruplicano i reality lessacervelli. E se per voi provinciali di allora era l'Arte ad entrare nelle case, adesso sono altri "grandi fratelli" provinciali vuoti e brutti e imbruttiti(anche se pupe) ad entrare con prepotenza nelle nostre case di periferia. E non c'è medicina al peggio.
    In questi giorni sto a domandarmi il vero senso della parola libertà... e per ora ho trovato una sola risposta che non sia quella banale (ovvero che non esiste): la libertà la ritroviamo nei ristretti limiti dello spirito critico che sia sviluppato a suon di umiltà, curiosità e amore per l'Arte tutta. Ascoltare! Vedere! Leggere!... e perchè no? amare! (mi son permessa di dire la mia... qual'è la tua ricetta di libertà?)
    Ciao e Grazie

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