E' sempre difficile iniziare qualcosa, anche un blog che a pensarci bene si pone, nel suo piccolo, obiettivi piuttosto ambiziosi. Perciò, dopo tante riflessioni, ho deciso di cominciare cercando di immaginare le due classicissime domande che un potenziale lettore potrebbe rivolgermi
1) Perchè un altro spazio dedicato alla musica (al cinema, ai libri) visto che ce ne sono già talmente tanti che la rete rischia ogni istante di esondare? Perchè, nonostante in giro non mi sembra ci siano in tal senso troppi buoni auspici, non mi sono ancora rassegnato alla presunta evidenza per cui non sia più possibile condividere una passione autentica che mi porto dentro da più di trent'anni. In più intendo dare un contributo e combattere contro un'altra pericolosa evidenza: che la gente, virtualmente ormai persa nel mondo degli mp3, della tv commerciale, delle comunicazioni attraverso telefono cellulare, dei film visti tramite quella scatola di sardine che è lo schermo del computer, in generale della triste piaga delle convenzioni sociali, pare non essere più capace nè intenzionata di provare emozioni e passioni autentiche.
2) Perchè uno spazio che si occupa della cultura e dell'immaginario culturale del passato, a cui per di più è stato dato un nome che sembra proprio essere la variazione di "Living in the past", titolo di un vecchio album dei Jethro Tull (bravo, potenziale lettore, hai visto giusto!)? Non posso negare che provo un amore incondizionato per tutto l'immaginario che negli anni '60 e '70 ha rappresentato il baluardo essenziale del mio sviluppo, tuttavia mi sono ripromesso di fare in modo che gli scritti a venire non siano gravati da un tono eccessivamente sentimentale o nostalgico. "Living for the past" dunque per una ragione ben più profonda e, oserei dire, filosofica. Da un po' di tempo a questa parte, diciamo da una ventina di anni o giù di lì, le leggi del mercato e più in generale dell'economia capitalistica dominano incontrastate tutto quello che passa sotto i nostri occhi. Non si deve credere che sia tanto ingenuo da pensare che fino agli anni '80 il mercato non esistesse, tuttavia mi capitò qualche tempo fa di leggere un'intervista al chitarrista dei Led Zeppelin Jimmy Page che può essere definita in tal senso illuminante. In quell'occasione egli ammise senza falsa modestia che il suo gruppo, unitamente a molti altri dell'epoca, grazie al turbinoso giro di denaro che gravitava attorno al mondo del rock 'n roll potè fare in modo, diciamo così, di non conoscere problemi economici di sorta. Ergo: il mercato non è certamente un'invenzione dei tempi attuali. Ma la differenza sostanziale, così sostenne Page, è che, mentre oggi è il mercato a creare mode e tendenze fabbricando in laboratorio fenomeni che non restano mai in auge per più di un breve lasso di tempo (dove sarebbe oggi Noel Gallagher se non avesse speculato per anni sulle storielle gossip che sono l'alimento essenziale della sua avventura con Patsy Kensit?), una volta gli artisti, dal momento che erano tali e sapevano anche di esserlo, imponevano al mercato la musica e in genere le direttive, talmente vincenti in tutti i sensi l'una e le altre che quello non poteva fare altro che adeguarsi ed accettare le condizioni senza fiatare. Ecco che, su questa base, allora venne gettato ogni presupposto per la creazione di opere artistiche durature, che infatti hanno bellamente resistito all'usura del tempo. Ecco, per contro, che trascorso un certo tempo oggi nessuno conserva più memoria del cantante di cartapesta che abbia peraltro spopolato per un po' nelle trasmissioni di video musicali e sia stato in grado per qualche mese di riempire stadi ed arene. Una volta, per dirla in breve, il mercato aveva voce in capitolo soltanto in seconda o terza battuta perchè ancora la gente intendeva godersi il privilegio di pensare con la propria testa, di operare ricerche certosine, in questo tanto più meritevole se pensiamo all'estrema limitatezza dei mezzi a disposizione.
Ecco perchè "Living for the past". Non è solo sentimentalismo o nostalgia.
sto leggendo "1969 - Storia di un favoloso anno rock - Da Abbey Road a Woodstock" di Bertincelli, è sufficente come credenziale per iscriversi al tuo blog ? ops... sono il primo a commentare, va bè... allora... non sono bravo come te a scrivere, ti faccio solo i complimenti per il bel post introduttivo e ti confesso che non mi vergogno a definirmi NOSTALGICO dei '60&'70 ! il tuo omonimo compaesano
RispondiEliminaSto rivedendo (in VHS!!) "Diario di un maestro", un grande sceneggiato di Vittorio De Seta, datato 1972 (se non sbaglio). Fu la Rai a produrlo e trasmetterlo. Da non credere, se pensiamo a come sia ridotta maluccio la televisione di stato di oggi...
RispondiEliminaMille grazie ad Andrea e Hampus per i commenti. Ad Andrea vorrei dire di non preoccuparsi, chè le sue credenziali erano già ottime (non conoscevo il libro, corro a procurarmelo!). Hampus da parte sua ha compreso perfettamente lo spirito del blog e ha già provveduto ad allargare lo spettro della conversazione. D'accordissimo, ovviamente, il raffronto fra la tv di ieri ed oggi è improponibile, anche perchè la finalità del mezzo negli anni è radicalmente cambiata. Ma ci sarà spazio per parlare anche di questo.
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