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venerdì 8 ottobre 2010

Bob Dylan, il Muro di Berlino e Graceland

Quelli che, bontà loro, sono convinti che dopo la morte potranno contare su un posto riservato in Paradiso sono usi suddividere la Storia in due macro-periodi: avanti Cristo e dopo Cristo. Io, che della nostra grande Madre possiedo una visione molto più limitata e assai meno preconcetta, sono solito parlare di A.M. e D.M. Non si tratta di frequenze radiofoniche attraverso le quali poter ascoltare una fantomatica rock station, bensì di altrettanti periodi storici che mi piace chiamare Avanti Mercato e Dopo Mercato. Come dicevo ieri sono consapevole che questo schizofrenico strumento della convivenza umana c'è sempre stato, ma nel corso della Storia si verificò il classico evento-spartiacque dopo il quale il Mercato non trovò praticamente più ostacoli in vista della sua totale affermazione. Nel 1989 e seguenti la caduta dei regimi dittatoriali dell'Est europeo e in particolare del muro di Berlino venne presentata come l'inizio di una nuova Era dell'Acquario e in linea di principio possiamo dire che le cose stanno realmente così, nel senso che i presupposti per la costruzione del cosiddetto "mondo migliore" c'erano veramente tutti. Tuttavia mi torna in mente un vecchio verso di Bob Dylan che, in netto anticipo sui tempi come quasi sempre gli accade, nel 1984 pubblicò una canzone intitolata "Union Sundown" che, a proposito di certi eventi, dice che appunto in linea di principio rappresentano una buona idea, non fosse che poi a rovinare tutto ci si mette sempre di mezzo l'avidità. Possiamo dunque partire dalla considerazione di Dylan per sostenere che gli eventi avvenuti a cavallo tra la fine e l'inizio dei due decenni sono stati presentati ed offerti alla gente in maniera truffaldina e disonesta e alcuni di noi li hanno vissuti come quando si va a comprare su Internet un oggetto pubblicizzato in modo egregio, salvo poi trovarsi recapitato a casa il classico "pacco" - e non soltanto in senso strettamente postale. Sembrò che le varie Utopie di cui è piena la storia della filosofia dovessero finalmente avverarsi, e invece ci siamo ritrovati da un lato, auspice appunto l'azione del Mercato, con la divisione netta e credo ormai difficilmente riparabile fra ricchissimi e poverissimi, e da un altro con l'appiattimento intellettuale a tutti i livelli, sotto l'egida di quegli strumenti mediatici che hanno ridotto gli esseri umani ad un inarticolato coacervo di "yes men", che sottoscrivono tutto quello che il potere ordina e naturalmente non si sognano di adoperarsi allo scopo di modificare l'ordine costituiito e lottare contro le sue tante storture. Peraltro non avevano in tal senso già scritto tutto autori come Orwell, Dick e Bradbury? E lo stesso Roger Waters, in un album che musicalmente non amo molto ma a cui non posso non riconoscere l'efficace valenza preconizzatrice, dimostrò di avere vista lunga, quando, ancor prima dell'arrivo degli anni '80, dipinse gli umani alla stregua di informi pupazzi conoscibili soltanto come numeri.
Consegue naturalmente che almeno sotto certi aspetti viene addirittura da rimpiangere il decennio, uno dei più bistrattati in assoluto (a ragione), ma in cui se non altro il tessuto musicale era ancora vivo e la musica, alla maniera delle due decadi precedenti, poteva ancora essere utilizzata quale efficace cassa di risonanza per dare risalto alle varie istanze politiche internazionali. Soltanto un cieco non si accorgerebbe che, se oggi il Sudafrica non è più afflitto dalla terribile piaga dell'apartheid, è il caso di rendere omaggio primariamente a Paul Simon che, mentre gli onorevoli del mondo erano impegnati nei loro lussuosi tea-parties, decise che era giunto il momento di rompere gli indugi. L'album "Graceland" del 1986 costituì il primo passo verso la risoluzione di un tanto gravoso problema. Il disco è fondamentale anzitutto dal punto di vista musicale poichè, data la commistione delle culture su cui si fonda e che lo pervade dalla prima all'ultima nota, può essere allegoricamente ascoltato come la visione del prodigo grembo newyorkese che accoglie in sè tutti gli umori e i colori della vera e non mercantile "world music". Sul piano politico rappresentò l'iniziale presa di coscienza per cui una certa istanza doveva essere vinta a tutti i costi e con ogni mezzo. Il concerto che fece seguito al LP e che è documentato nello splendido DVD "Graceland - The African concert" è uno di quegli eventi capaci di toccare il cuore. In una splendida giornata di sole, di fronte ad un pubblico misto in cui bianchi e neri dichiarano fieramente che la convivenza è possibile, l'umile e deferente Paul Simon pone gli stilemi della musica nordamericana al servizio di una causa importantissima e i grandi ospiti che intervengono allo spettacolo (oltre ai più grandi turnisti sudafricani riconosciamo senza bisogno di presentazione Hugh Masekela, i Ladysmith Black Mambazo e la povera Miriam Makeba) comprendono l'estrema grandezza del gesto dell'autore di "Sounds of silence" e a loro volta, con gli occhi e con la voce, gli tributano continue profferte di ringraziamento.

E' possibile reperire on-line il materiale di cui si parla in questi post attraverso il sito http://www.caru.com/

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