Mi sono diplomato al liceo classico nel sempre più remoto 1984 e prima di conseguire questo risultato il mio rapporto con le due nostre lingue madri, il latino e il greco, era stato idilliaco allo stesso modo di quello tra il gatto Tom e il topo Jerry, o se si preferisce come quello tra l'altro felino Silvestro e il canarino Titti. Dell'idioma in cui si espressero gli antichi romani non ricordo se non le massimali linee-guida, ma mi è sempre premuto tenere a mente che il vocabolo "adolescenza" deriva dal verbo latino "adolescere", che (mi scuseranno i latinisti provetti per le eventuali inesattezze) significa "bruciare". Ciò non nel senso che quando si è giovani si ha la tendenza a diventare piromani ma in quanto i ragazzi, per una predisposizione naturale ineludibile a meno che non soffrano per qualche deficienza congenita, vivono la loro vita e le loro esperienze in maniera forte, virulenta, parossistica, appunto incendiaria, magari talvolta scriteriata arruffona ed insensata, ma comunque mai posata, controllata o lineare. Grazie all'ideazione dell'espressione "fare i 400 colpi" (devo puntualizzare che si tratta anche del titolo del primo film di François Truffaut?) i francesi hanno dato prova di aver compreso perfettamente il significato letterale della parola. Insomma, se un giovane non mostra il desiderio di mettere un po' a soqquadro l'ambiente che lo circonda, di cambiare magari solo in virtù di affermazioni confuse le regole del gioco della vita (sempre stabilite dai detentori del potere costituito), allora vuol dire che fin dalla più tenera età è già bell'e pronto, confezionato e predisposto per le serate davanti alla tv in compagnia dei vari carloconti o, forse addirittura peggio, dei finti paladini della giustizia sociale, quelli che provocano il "travaglio" di stomaco anche a chi a cena una volta tanto opta per tenersi leggero.
Non c'è niente da fare, la differenza tra i ragazzi di un tempo e quelli di oggi (a cui, per bene che vada, interessa giusto carbonizzare le bistecche sulla graticola) è talmente palese che salterebbe persino immediatamente agli occhi del reverendo Gary Davis. O di uno dei tanti altri uomini del blues che riuscivano a vedere con le pupille dello spirito, fate voi! Superfluo aggiungere che il contesto in cui i giovani mostrarono più soddisfazione del fatto di essere tali e di potersi sentire liberi di "bruciare" fu quello in cui vennero concepite la creazione e l'espressione dell'arte del rock 'n roll.
Con gli anni la modalità attraverso la quale sono solito percepire la musica che ascolto è sensibilmente mutata, cioè si è arricchita di un'altra importantissima e fondamentale componente. Da ragazzo le esperienze uditive erano di tipo quasi esclusivamente istintuale, da adolescente appunto. Via via che il tempo passava altresì avvertii che stavo cominciando ad acquisire quel pizzico di raziocinio e ponderazione che certo non si può pretendere da un sedicenne che entri per la prima volta in rotta di collisione con il devastante assolo di Alvin Lee in "I'm going home". Specificamente da qualche anno a questa parte mi capita anche di fermarmi a riflettere sul fatto che, quando brevettarono la forma d'arte che sconquassò radicalmente il mondo (musicale e non solo) e con cui si proposero di sovvertire le regole a cui l'uomo era stato fino a quel momento abituato in maniera oltremodo ligia ed ossequiosa, i giovani degli albori del rock 'n roll attraversavano la medesima età anagrafica in cui la maggior parte di quelli di oggi si preoccupa di mascherarsi per Halloween o di provocare tafferugli nel nome della squadra del cuore. Di certo il rock 'n roll non avrebbe potuto essere causa di tanto sconvolgimento (oggi quasi completamente rientrato, ma questa è una triste storia a cui mi sforzo di non pensare troppo spesso) se della sua invenzione si fossero incaricati, che so, degli ultra-quarantenni per di più in possesso di attestati conseguiti presso le più prestigiose accademie musicali. Peraltro la verdissima età di quegli ardimentosi e coraggiosissimi artisti, che per coltivare la loro vocazione rinunciarono persino alle comodità che sarebbero potute loro facilmente derivare dalla classica estrazione sociale medio-borghese, continua ad essere per me motivo di notevole stupore. Ciò anche perchè, per dirla tutta, il loro terreno d'adozione non furono le innocue canzoncine sugli infantili patimenti d'amore (riflettiamo solo sul fatto che Max Pezzali e Vasco Rossi, pur avendo ampiamente raggiunto o superato la mezza età, scrivendo si immedesimano ancora nei ragazzini che guardano il "grande fratello" e leggono i libri di Moccia), bensì la loro rivoluzione, la capacità di assorbire le eredità del "loro" passato, perchè no l'incredibile dimestichezza sugli strumenti rappresentarono qualcosa che non so da quanti anni (secoli?) non si era più vista, dal momento che le innovazioni apportate dai musicisti d'estrazione classica erano ormai state pressochè completamente codificate, accettate e diventate quindi parte del bagaglio culturale.
Quando nei giorni scorsi cominciai a gettare le basi e a scarabocchiare appunti per quest'articolo, mi successe di partire da un dato essenziale: Alexis Korner nacque nel 1928 e questo vuol dire che quando alla fine degli anni '50 pose le fondamenta del "british blues", la corrente che restituì l'importanza dovuta alla musica degli afro-americani e tenne a battesimo gli artisti che nell'imminente decennio si guadagnarono fama ed onori imperituri (da Eric Clapton a Steve Winwood, dai futuri Rolling Stones a John Mayall, da Jeff Beck a Jimmy Page....), aveva all'incirca 30 anni. E, si badi bene, tra gli imberbi rockers del tempo era uno dei più "anziani". Con l'arrivo degli anni '60 l'età media dei musicisti, cantanti, compositori, arrangiatori, scrittori rock si abbassò notevolmente tanto che rimane tuttora difficile, a meno che non si tiri in ballo il possesso di qualità che vanno ben al di là di quelle di tipo umano, cercare di comprendere come questi personaggi abbiano potuto innescare, da semplici ragazzi quali erano, tutto quello che furono in grado di porre in essere. Il bagaglio delle loro conoscenze, tra l'altro accumulato nel corso di anni in cui era arduo persino procurarsi il testo di una canzone a meno che non fosse trascritto sulla copertina di un long-playing, è inconcepibilmente immenso. Quegli artisti poco più che maggiorenni (ma Steve Winwood aveva appena 16 anni, quando entrò nello Spencer Davis Group) dominavano e possedevano a menadito il blues e il rhythm and blues, il folk che data dal XVI secolo in poi, il jazz e le avanguardie, la musica classica ed elettronica, il vaudeville e il cabaret, la canzone americana bianca che si sviluppò ed assurse a notorietà tra le due guerre e i vari retaggi popolari.... Come se non bastasse questa leggendaria schiera di bardi (che, per dirla con Richard Matheson, sono "leggenda" proprio perchè dopo di loro c'è stato solo spazio per il Nulla assoluto) fu nientemeno in grado di piegare alla sua volontà il Mercato, il gigantesco mastodonte al fascino e allo strapotere del quale oggi nessuno sa o vuole più opporre resistenza. Il "contratto" che i rock 'n rollers stipularono con il Moloch che nei tempi attuali incute paura persino a Martin Scorsese e Woody Allen fu impostato nei termini seguenti, chiarissimi ed inequivocabili: "Noi non intendiamo sopprimerti o eliminarti, sia perchè non sarebbe semplicissimo sia perchè entrambi potremmo trarre beneficio dalla nascita di una fruttifera amicizia. Ma sia chiaro che tu sarai il nostro vassallo, sarai sottomesso e subordinato al nostro volere e avrai il compito di eseguire i nostri ordini. Sei insomma incaricato di promuovere la vera cultura musicale, l'Arte autentica. Siamo infatti talmente sicuri di noi stessi, dei nostri mezzi e di quello che abbiamo in testa che per te la minima obiezione equivarrebbe a fatica sprecata".
Poi, tempo una ventina di anni, il Mercato si sarebbe preso con gli interessi la sua rivincita. Ma questa è un'altra storia, a cui un blog come questo intende cercare di pensare il meno possibile.