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martedì 12 aprile 2011

AllMusic: utilità e avventatezza nelle opinioni

E' trascorso quasi più di trent'anni ma da qui all'eternità sarà impossibile dimenticare i tempi in un certo senso pionieristici in cui, insieme ad un non nutritissimo gruppo di appassionati la cui vita era stata al pari della mia scombussolata dall'incontro (meglio sarebbe dire, dallo scontro) con la musica rock, ci si dava eroicamente da fare allo scopo di gettare le basi di quelle che oggi sono diventate a tutti gli effetti le nostre adorate discoteche domestiche. 
A dire il vero, so di alcuni miei antichi compagni di ricerca che, avendo barattato l'adesione alla causa del rock 'n roll con la sottomissione a quella delle convenzioni sociali, hanno rinnegato il significato del fermento da cui in quegli anni eravamo guidati, non hanno più comprato un disco in vita loro e hanno praticamente rimosso dalla memoria quelli già in loro possesso. Se non se ne sono sbrigativamente sbarazzati, li conservano rincantucciati presso un riposto angolo della soffitta a prender polvere - e sappiamo benissimo quanto gli amati e bistrattati dischi in vinile siano suscettibili alle ondate di pulviscolo atmosferico!
Una volta un mio conoscente mi invitò a casa sua dato che era intenzionato a disfarsi dei pezzi della sua piccola collezione. Mentre mi accingevo a tirar fuori il portafoglio costui mi fermò affermando che sarebbe stato suo desiderio regalarmi l'intero lotto. Mi sentii felice ma allo stesso tempo profondamente amareggiato.

Malinconiche digressioni a parte, è pur vero che a cavallo tra la fine degli anni '70 e i primi '80 la nostra attività di speleologi poteva essere considerata doppiamente illustre. Non potevamo infatti contare sui coadiuvanti supporti in grazia dei quali oggi i ragazzi, se solo non fossero così intellettualmente pigri e si applicassero un po' nell'affascinante pratica della ricerca, potrebbero fregiarsi del titolo di esperti semplicemente lavorando da autodidatti.
L'unico aiuto a nostra disposizione era rappresentato dal leggendario e sfruttatissimo volume enciclopedico comprensivo di schede biografiche e discografie che, per quanto lodevole ed assai esaustivo per l'epoca, poteva soltanto portarci a conoscenza delle punte dell'assolutamente complesso iceberg chiamato rock 'n roll, il quale è fornito in realtà di centinaia di più o meno nascoste diramazioni che solo nel corso di anni recentissimi e conseguentemente all'avvento della Rete abbiamo potuto aver agio e comodo di esplorare.
Per dare un'idea delle sfavorevoli condizioni in cui si era costretti ad operare, dirò soltanto che per noi la fertilissima scena che si sviluppò a San Francisco nella seconda metà degli anni '60 continuò per parecchio tempo a corrispondere ad una questione circoscritta ai Grateful Dead, ai Jefferson Airplane e ai Quicksilver Messenger Service.

Com'è naturale Internet equivale ad un variegatissimo oceano scandagliando il quale è necessario mettere in atto un'attentissima opera di discernimento. A causa della Rete si può rischiare infatti di ridurre ai minimi termini il conto corrente bancario o ci si può permettere di soppesare i fatti privati di Fabrizio Corona, che del resto consistono solo in quanto si decide di renderli pubblici.
Ma, nonostante le sue laceranti contraddizioni, il Web costituisce in linea di principio una fonte d'informazione e conoscenza (per di più, in buona parte gratuita) quale prima d'ora non se n'era visto l'uguale. Trattandosi di un ritrovato a cui si è per fortuna scelto di conferire un connotato marcatamente pop, forse per la prima volta nella Storia succede che gli appassionati di musica rock possono pienamente e finalmente soddisfare la loro sete di sapere.

Il sito AllMusic.Com, in virtù degli innumerevoli percorsi potenziali che l'esploratore ha l'opportunità di intraprendere al suo interno, rappresenta l'esaustiva, multi-funzionale, onnicomprensiva e mai sufficientemente lodata risorsa enciclopedica di cui in precedenza l'appassionato era sempre andato vanamente in cerca. Qui si trovano recensioni, biografie, una minuziosa suddivisione nei più vari stili, discografie complete, titoli delle canzoni album per album con tanto di durate espresse in minuti e secondi, giudizi critici (ovviamente in quanto tali opinabili, ma decisamente utili allo scopo di orientarsi nelle politiche d'acquisto).... AllMusic non manca proprio di nulla e a maggior ragione non si riesce dunque a digerire che i giovani d'oggi rinuncino a priori a diventare degli autentici filologi e si accontentino bensì di procacciarsi la forma di cultura approssimativa e casuale che oggi purtroppo imperversa e rappresenta il triste lascito di quest'epoca generalista nell'accezione più deteriore.

Vale da sempre la regola per cui "il troppo stroppia" e nemmeno AllMusic è in grado di conservarsi immune rispetto all'implacabilità dell'assunto. Non so se dipenda dal fatto che anche questo sito deve sottostare, come la gran parte di quelli a cui è concesso di occupare un certo spazio nella Rete, ad una specifica ed inevitabile serie di dettati commerciali. Magari, molto più semplicemente, i redattori che sovrintendono alla gestione del dominio sono per la maggior parte giovani e perciò possono rivendicare il possesso di un orizzonte culturale e di un senso della Storia limitati tanto quanto lo sono ad esempio quelli dei "cinefili" italiani per cui il cinema fu inventato nell'anno in cui venne distribuito Pulp Fiction.
Fatto sta che questa pur per altri versi attendibile fonte si abbandona talvolta ad affermazioni la falsità storica delle quali non può non essere stigmatizzata, anche se non senza un certo dispiacere.
Da tanto tempo lo si sentiva dire al punto che è ormai diventato un luogo comune accettato da più parti e che nessuno osa mettere in discussione. Al giorno d'oggi qualora si desideri avvalersi della facoltà di indignarsi e di muovere obiezioni nei confronti dei consolidati stereotipi (culturali e non), si rischia di essere fatti passare per terroristi con una spiccata predisposizione per il disfattismo. Tuttavia, sebbene negli anni abbia cercato di premunirmi con la pazienza dei santi, non mi riesce più di tacere allorchè mi tocca tornare per l'ennesima volta a sentire il presunto assioma per cui i Nirvana e gli altri gruppi di area "grunge" hanno cambiato il corso e il volto della musica rock. In un certo senso, se vogliamo, è stato così, ma soltanto in quanto queste bands hanno selvaggiamente ed indiscriminatamente spogliato il rock 'n roll dei suoi archetipi storici e senza alcuno scrupolo li hanno dati in pasto al Mercato. Questa fagocitante entità, dopo averli sottoposti ad un accurato processo di adulterazione e banalizzazione, li ha serviti sul classico piatto d'argento alle generazioni di più recente costituzione, le quali non hanno potuto che far propria una cognizione del rock 'n roll assolutamente distorta. Esso è stato infatti impietosamente asciugato e deprivato delle componenti contro-culturali che, a partire dagli anni '50, l'avevano reso una forma d'arte che, nonostante il perdurare delle manifestazioni di snobismo provenienti dai vari ambienti accademici, aveva altresì nella complessità il suo tratto distintivo ed essenziale.
Alla strombazzatissima e pompata "scena di Seattle" bisogna insomma imputare la degenerazione di un preciso costume culturale.
Adesso è sufficiente, nella maggior parte dei casi, che i componenti di un determinato  gruppo si lascino crescere un po' i capelli, facciano trascorrere lunghi intervalli di tempo tra una doccia e l'altra e sul palco si sbattano come degli autentici invasati perchè a loro venga riconosciuto il possesso di una vera "anima rock".

Non senza una profonda amarezza mi viene istintivo ripensare al gran numero dei gruppi veramente seminàli che negli anni '80, pur se soffocati ed imprigionati tra le maglie del sottobosco discografico, trassero nondimeno dai loro fertili spiriti il coraggio e l'ispirazione per riscrivere davvero le coordinate dell'estetica del rock, che proprio allora era alla ricerca di idee riguardo a nuove possibili direzioni da intraprendere.
L'album "The days of wine and roses" dei Dream Syndicate, pubblicato negli stessi anni in cui il pop sintetico inglese letteralmente furoreggiava, si preoccupò di ricollocare le chitarre elettriche al centro della struttura della canzone molto tempo prima che i Pearl Jam si siano proposti di farlo, per di più scopiazzando impunemente il mondo musicale di Neil Young.
E, quantunque si continui ad attribuire ufficialmente ai Nirvana il brevetto della fusione fra gli stilemi del punk e la canzone pop, gli appassionati che si sentono a buon diritto ed orgogliosamente figli della Storia sono in realtà consapevoli che di questa splendida intuizione furono bensì artefici a metà degli anni '80 quegli Husker Du che oggi sono ricordati soltanto dai fans che non hanno dubbi riguardo a dove si situi davvero la cultura musicale alternativa, un concetto di cui negli ultimi anni ci si è fatti un punto d'onore di snaturare ed impoverire.





                   

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